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“LA RICOTTA”  di Pierpaolo Pasolini 

  • Immagine del redattore: Annamaria Niccoli
    Annamaria Niccoli
  • 27 set 2017
  • Tempo di lettura: 5 min

“LA RICOTTA”  Pierpaolo Pasolini            (di Annamaria Niccoli)

“C’è chi nasce co’ ‘na vocazione e chi co’ ‘nartra: io sò nato co’ ‘a vocazione de morimme de fame”


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“Non è difficile predire a questo mio racconto una critica dettata dalla pura malafede. Coloro che si sentiranno colpiti infatti cercheranno di far credere che l’oggetto della mia polemica sono la storia e questi twist di cui essi ipocritamente si ritengono i difensori. Niente affatto: a scanso di equivoci di ogni genere, voglio dichiarare che la storia della Passione è la più grande che io conosca, e i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati scritti”.

E’ con questa prefazione che il terzo film di Pier Paolo Pasolini iniziala “Ricotta”. Il lavoro cinematografico pasoliniano è il quarto  episodio del film “RoGoPas”. Gli altri tre  episodi sono : “Il pollo ruspante”di Gregoretti; “Illibatezza” di Rossellini;  “Il nuovo mondo” di Godard. Il film di Pasolini è un’opera fortemente influenzato dalle idee politiche degli anni 60, anzi è una critica feroce alle ideologie di quegli anni. Per la terza volta il regista sceglie alcuni attori e tutte le comparse  negli strati più umili ed emarginati della periferia romana. L’unica vera star di questo film è Orson Welles, che il regista volle a tutti i costi, mettendo i crisi la produzione e rallentandola per la richiesta esosa del suo cachet. Il regista americano interpreterà  la parte dello stesso Pasolini. “La Ricotta” è la storia di un regista che tenta di girare un film sulla Passione di Cristo. L’originalità del lavoro pasoliniano è porre allo spettatore due narrazioni, opposte fra di loro, ma che camminano sullo stesso binario narrativo; ossia un film nel film. All’inizio del film vediamo un folto gruppo di comparse, figure grottesche irriverenti che prendono parte alle riprese di un film, la vera motivazione è avere un pranzo gratis. Tra questi strani personaggi ne spicca uno, da un nome significativo, Stracci. Nella seconda parte del film Il regista , Orson Welles, legge delle poesie dello stesso Pasolini e si fa intervistare da uno sprovveduto e poco colto giornalista. Nella terza parte del film il regista cerca di riprodurre due “quadri viventi” del Pontorno e di Rosso Fiorentino. La Pellicola può essere suddivisa in due piani narrativi, facilmente riconoscibili, Le comparse e il regista sono registrate su pellicola bianco e nera; la terza parte, la rappresentazione delle due opere pittoriche è registrata su pellicola Tecnicolor. La pellicola era stata progettata per essere un lungometraggio, ma per decisione della produzione divenne un medio metraggio, ovvero della durata di trenta minuti.

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Siamo nella periferia romana, la comparsa Stracci, nel “film” interpreta la parte del ladrone buono della Passione di Cristo. L’opera cinematografica è una vera denuncia della decadenza morale dell’uomo contemporaneo, ove l’ argomento cristianità è il mezzo di tale critica. Stracci rappresenta il sottoproletariato e sarà condannato a morte dalla ferocia, ben nascosta, della borghesia. Le comparse nel film  “del film” fra loro comunicano fra loro nel classico linguaggio dialettale, e anche volgare, delle borgate, interessandosi poco di quello che succede intorno a loro. Quel finto set è rappresentato da Pasolini come un tempio invaso dai mercanti. La morte di Stracci verrà rappresentata identica a quella di Cristo, in versione contemporanea, ma irriso, deriso, schernito, fra l’indifferenza generale di tutti;  perfetta metafora di una vita che predilige i forti e “cannibalizza” i deboli. I figuranti rappresentano la società odierna, composta piccoli lavoratori sottopagati e costretti a subire le angherie dell’attuale ceto medio che poco s’interessa dei bisogni altrui, che millantano e umiliano la cultura e la politica, che nel petto hanno solo un cuore di pietra e che dei diritti fondamentali dell’uomo, citati anche dalla Costituzione italiana, sono completamente dimenticati o volutamente tralasciati e travisati da una classe politica incapace e incompetente, cui disconosce, anzi rifiuta, le ideologie politiche, che siano di destra o di sinistra. Il film nel film  “La ricotta” la parte del regista è interpretata da O. Welles, segue fedelmente ciò che è stato scritto da Pasolini.  Fra le frasi più note nel copione del noto regista americano: “L’uomo medio è un pericoloso delinquente, un mostro, Esso è razzista, colonialista, schiavista, qualunquista”. Il regista americano è la voce di Pasolini,, cui il suo ruolo è quello di un intellettuale cinico che non indugia nel criticare la civiltà dei consumi dell’Italia degli anni 60, società formata da persone pronte a demolire tutti i valori e le tradizioni passate. Un giornalista poco rispettoso e impreparato intervista il regista Welles, che fra le mani tiene il libro di Pasolini “Mamma Roma” Nel richiamare i film precedente del regista italiano, e gli altri, come “Accattone”, e “Ragazzi di vita”, tutte gli esterni vennero registrati tra la via Appia Nuova e la via Appia Antica, nei pressi della sorgente dell’Acqua Santa. Le panoramiche riprendono i grandi palazzi delle borgate romane. Grande è la cultura di Pasolini e lo si potrà vedere nella terza parte della pellicola, ove fa riferimento alla pittura. Il regista cerca di riprodurre un “tableau vivant” della Deposizione del Pontorno e di Rosso Fiorentino. Nella ricostruzione pittorica vi è una meticolosa ricostruzione sia dell’abbigliamento che degli atteggiamenti e volti pieni di dolore. Nel “tableau vivant” il regista posiziona gli attori nelle esatte posizioni dei due quadri, e la voce fuori campo che si sente è dello stesso regista: “Forza, sbrigatevi! Siamo pronti! Il disco!”…”Sonia! Ricordati che sei ai piedi di Cristo! non pensare al tuo cagnolino!” Altri riferimenti alla cultura pasoliniana li possiamo vedere nelle sequenze accelerate accompagnate da musiche, tipiche dei film del cinema muto, con particolare riferimento all’amatissimo Charlie Chaplin.


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 Dobbiamo aprire un capitolo a parte su questo film, che purtroppo riguarderà tutta la cinematografia di Pier Paolo Pasolini,  le traversie giudiziarie. “La ricotta” nel 1963 finì in tribunale, dove il Procuratore della Repubblica, Di Gennaro, denuncia l’opera di Pasolini come un “cavallo di Troia della rivoluzione proletaria nella città di Dio”. Alcune scene vennero modificate e altre tagliate, alcune battute  vennero bollate come scandalose e blasfeme:

– Un’attrice, in abiti da “Santa” si mette a ballare inscenando uno spogliarello, fra le battutacce delle altre comparse.

-Alcune comparse ballano sulle note di una nota canzonetta davanti al tavolo dell’ultima cena.

Per scene come queste il regista verrà condannato per “vilipendio alla religione”, ossia il regista è colpevole di aver “artificiosamente creato quell’atmosfera di religiosità pura per meglio sfogarvi la propria derisione”. Il film il 1° marzo 1963 verrà bloccato durante la proiezione del film nella sala del cinema Corso di Roma e la pellicola verrà sequestrata. Il processo verrà celebrato per direttissima e il regista verrà condannato a quattro mesi di carcere con la condizionale. Nel novembre dello stesso anno il film venne sbloccato per essere ripresentato con i tagli della censura e nuovo titolo “Laviamoci il cervello”La Corte d’Appello di Roma il 6 maggio del 1964 accoglie il ricorso di Pasolini e lo assolverà.

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